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30 anni dopo, Ninni Cassarà come Falcone e Borsellino: la lotta alla mafia che terminò nel massacro

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(Un articolo di Beatrice Fasulo e Chiara Bellini) Era il pomeriggio del 6 agosto 1985. Il commissario Ninni Cassarà, 38 anni, fu assassinato da 200 colpi di kalashnikov sparati da un commando mafioso appostato sotto casa, dopo neanche dieci giorni dall’uccisione del collega Montana. Cosa Nostra continuava a mietere vittime. Ma qual è il motivo per cui non viene ricordato nel giusto modo? Nel frattempo, nasce una webserie in suo ricordo. “In quegli anni non c’erano supporti tecnici d’aiuto alle indagini contro la mafia: il vero computer era la testa di Ninni Cassarà. La sua intelligenza investigativa era fuori dall’ordinario. Era davvero un “eccezionale poliziotto”, come fu definito dall’ex procuratore antimafia Piero Grasso”. Così lo ricorda l’ex vicequestore della Polizia scientifica Margherita Pluchino, che negli anni Ottanta lavorava nella sezione investigativa della Squadra mobile di Palermo guidata da Ninni Cassarà. Chi era Ninni Cassarà. Un commissario sfrontato, che a fianco di Falcone e Borsellino lottò contro la mafia. Antonio Cassarà era il vicedirigente della Squadra mobile di Palermo e uno dei migliori investigatori della Polizia del capoluogo siciliano. Aveva collaborato con le forze di polizia statunitensi per l’operazione denominata “Pizza Connection” che aveva portato all’arresto di numerosi mafiosi tra Italia e Usa. Insieme al suo amico e collega Beppe Montana prese parte a numerose operazioni antimafia e fu uno stretto collaboratore di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e del “pool antimafia” della Procura di Palermo. Le sue indagini, che rivelarono la struttura del mandamenti mafiosi, contribuirono alla formazione del primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Il cosiddetto “Rapporto dei 162”, stilato da Cassarà e dai Carabinieri, aiutò Falcone e Borsellino ad istruire le indagini che posero le basi indispensabili per le indagini che inchiodarono oltre 400 persone per reati di mafia nel maxiprocesso. Qualche tempo prima il commissario si trasferì da Trapani proprio a Palermo, dove stava nascendo il pool antimafia, su iniziativa del giudice istruttore Rocco Chinnici. Cassarà entrò subito a farne parte. Il 29 luglio 1983, un’autobomba uccise il giudice Rocco Chinnici ed un anno più tardi, Cassarà venne chiamato a deporre al processo per la morte del magistrato. Otto mesi dopo la deposizione di Ninni Cassarà, al processo Chinnici, Giovanni Falcone chiese e ottenne l’arresto dei cugini Nino e Ignazio Salvo. Ma la mafia aveva probabilmente già deciso… Cassarà doveva morire. I giorni precedenti l’assassinio. Dopo la morte dell’amico e collega Montana, avvenuta il 28 luglio, Cassarà si mise al lavoro per ricostruire l’accaduto. Le indagini portarono a Salvatore Marino, appartenente a una famiglia di pescatori, che fu colto con 34 milioni di lire in contanti, una somma decisamente elevata per un giovane calciatore dilettante. Il 25enne, che non aveva un alibi, venne messo sotto torchio dagli agenti che volevano conoscere i nomi dei mandanti e, a causa dell’elevata pressione a cui fu sottoposto, il ragazzo morì. Questo episodio creò un distacco tra le istituzioni e i cittadini, tant’è che al funerale del giovane partecipò una folla commossa e sterminata di persone che chiedeva giustizia, mentre a quelle del commissario erano presenti solo i parenti. Il Ministro Scalfaro e il Presidente del consiglio Craxi sollevarono dall’incarico il capo della Squadra Mobile. Cassarà fu ucciso il giorno dopo. Il 6 agosto 1985 l’assassinio di Cassarà e le condanne. Era il 6 agosto 1985, quando, come ogni giorno, il commissario Ninni Cassarà, all’epoca di trentotto anni e con tre figli, verso le 15.30 arrivò a casa, in viale Croce Rossa a Palermo, con la sua Alfetta bianca blindata. Non sapeva che un semplice ritorno a casa si sarebbe trasformato in un massacro. Duecento colpi di mitra stroncarono la vita del commissario e quella dell’agente di scorta Roberto Antiochia, rientrato dalle ferie per stare vicino al suo capo. Laura, la moglie di Cassarà, era affacciata alla finestra, al secondo piano. Guardò la scena e rimase sconvolta. Nonostante questo ebbe la forza di scendere a soccorrere il marito. Il suo uomo, intanto, agonizzante, si trascinava sui cinque gradini dell’ingresso, lasciandosi dietro un’infinita scia di sangue. Chiamò la moglie, cercando di entrare in casa. Quando sollevò la testa e la vide, lei gli si gettò addosso per dargli un ultimo, imponente abbraccio. Il poliziotto era atteso da un gruppo di nove uomini, appostati sulle finestre e sui piani degli edifici vicini armati di fucile. L’altro agente, Mondo, che era insieme a loro scampò agli spari, ma fu fatto uccidere sei mesi dopo, nel gennaio del 1988. Nel contempo alla morte di Cassarà in Questura fu fatta sparire la sua agenda, su cui erano presumibilmente annotate importanti informazioni. Il 17 febbraio 1995, la Corte d’Assise di Palermo condannò come mandanti del delitto, cinque componenti della Cupola mafiosa (ndr, Riina, Provenzano, Greco, Brusca e Madonia). Attualmente stanno scontando l’ergastolo. Almeno tre degli assassini vennero eliminati dalla mafia negli anni successivi, mentre altri vennero arrestati e condannati dalle forze dell’ordine. Saranno i pentiti Paolo Anzelmo e Calogero Ganci, esecutori materiali dell’omicidio a ricostruire nei processi le fasi dell’agguato. Il ricordo dell’ex collega Pluchino e il progetto della Rai. Oggi sono trascorsi esattamente 30 anni dall’uccisione di Cassarà, ma purtroppo se ne parla troppo poco. “Una messa di commemorazione celebrata alla caserma ‘Lungaro’, ma purtroppo in tanti anni la figura di Cassarà non ha avuto tutto il rilievo che merita.” Le parole sono dell’ex vicequestore della Polizia scientifica Margherita Pluchino, che negli anni Ottanta lavorava nella sezione investigativa guidata proprio da Cassarà. “Lui sognava una Palermo libera dalla criminalità e dalla mafia: ce l’ha messa tutta, ma ci ha lasciato la pelle. Era capace di coinvolgere il personale, dava fiducia a tutti e nella sua squadra ognuno si sentiva responsabile del compito che gli veniva affidato. Lavorava senza orari ed era capace di scendere in piazza per i suoi uomini in qualunque momento, supportandoli. Non scaricava mai nessuna responsabilità, anzi se ne assumeva in prima persona.” Questo il ricordo dell’ex collega che si dice entusiasta del progetto promosso da Rai Cultura che, nelle scorse settimane, ha presentato la nuova webserie intitolata “Ninni Cassarà, un bravo poliziotto”. Il documentario, realizzato in collaborazione con la Scuola Superiore di Polizia per la regia di Silvia Mattioli, è stato realizzato per sottolineare l’impegno dell’investigatore siciliano e per rendergli onore. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli rende omaggio. Si unisce alla commemorazione il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Nell’agire quotidiano ciascuno deve saper rinnovare la propria ferma adesione ai principi di giustizia e di legalità, quale condizione essenziale per garantire la vita della nostra comunità e costruire un avvenire di libertà e di progresso”. Il significato della sua morte. L’uccisione di Cassarà ebbe una forte conseguenza: la mafia stava sollevando la testa e aveva ormai preso il controllo del territorio, eliminando uno dei tanti scomodi poliziotti. Per questo i colleghi, nonostante la disperazione e l’affranto, non si diedero per vinta e continuarono a lottare con la stessa energia che gli era stata trasmessa da Ninni. Infatti, dopo l’improvvisa morte del giovane Marino, Cassarà aveva capito che la polizia rischiava di rimanere sempre più isolata, perché ritenuta colpevole. Ma i legami tra il ragazzo e la mafia c’erano sicuramente stati, basti pensare che il funerale era stato celebrato alla Kalsa, uno dei capisaldi della criminalità organizzata. Nonostante questo, però, lui stesso non si fece minimamente intimidire dalla mafia e dalla sua potenza e continuò a lottare, a cercare indizi, strade e possibili pentiti che lo conducessero a scoprire qualcosa. L’indice di presenza mafiosa in Italia è ancora molto alto e la lotta contro queste organizzazioni criminali sarà ancora molto complessa e lunga. Molte volte i cittadini decidono di non collaborare nelle lotte antimafia per timore ed omertà, ma forse sono i personaggi come Ninni Cassarà dovrebbe essere un esempio per trovare il coraggio di lottare e conferire all’Italia la possibilità di avere un futuro libero dalle mafie che, ormai da anni, gravano su milioni di persone. Per la sua continua guerra e per l’instancabile voglia di verità, Cassarà dovrebbe essere considerato, insieme a tanti altri, una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia.

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